Un po’ mi spiace di non averti incontrata. Cioè, sai, la curiosità di sedere al tavolo di un bar, a guardare altrove mentre si parla dell’ultimo film di Tarantino e poi magari andiamo insieme a rivederlo, solo che no, forse dobbiamo ripiegare sul cinema qui vicino, e chissà che film danno.
Certo io sono in città di straforo, di passaggio. Tu sei più di passaggio di me anche se abiti lì, o quasi. E’ che in quella zona, dove dovremmo vederci, non c’è parcheggio, in effetti, un problema, ma lì io mi sento bene, anche senza parcheggio.
Ti piace passare davanti alle telecamere e chiedere – “come sono venuta?”. Sei venuta bene, certo, un braccio molto sexy, dei ricci fantastici, una mano sensuale, sotto quell’albero scuro quello che si vede è solo l’ombra di te e tu intendevi proprio quello: “com’è venuta la mia ombra? Bene?”.
Sì, un po’ mi dispiace di non averti incontrata ma evidentemente non era destino. Ok, tu non credi al destino e nemmeno io. O ci credi ciecamente o non ci credi, al destino. Crederci un po’ non ha senso. Si vede che non siamo geometricamente complementari, io e te. Bisogna essere concavi e convessi per andare daccordo. Io e te siamo geometrie non euclidee, fatte un po’ a cazzo di cane. Ok, ora te lo dico chiaramente, io e te, a parlare non siamo buoni, cioè, io e te, io-con-te, non siamo per nulla buoni, a parole, ma immagino il sesso, io e te, senza parlare, a fare del sesso gigantesco, del sesso strepitoso come i fantasmi, e poi affanculo, io e te, ognuno per la propria strada.
Ancora due passi insieme, sul marciapiede. Ora affanculo però.
(foto di yeah chià! , originale)